Dopo la rovinosa retrocessione del 1993, che vide la Fiorentina lasciare la massima serie dopo oltre mezzo secolo di permanenza ininterrotta, i tifosi gigliati avevano bisogno di certezze. La società, responsabile principale del clamoroso epilogo di quella stagione, complice l’esonero di Gigi Radice con la squadra sesta in classifica ed in piena lotta per un piazzamento europeo, decise di confermare giocatori di calibro internazionale come Batistuta e Effenberg.
Ritrovare immediatamente l’eden calcistico nazionale era, per quanto ovvio, un imperativo categorico. Per farlo, Cecchi Gori decise di affidare le chiavi della conduzione tecnica a Claudio Ranieri, reduce da un esonero a Napoli, che nei primi anni in Serie A, però, aveva ben figurato a Cagliari, prima, e sotto l’ombra del Vesuvio, poi. La voglia di rivincita, quindi, era bilaterale: anche il tecnico romano doveva dimostrarsi all’altezza di una grande piazza.
La prima annata di Ranieri: promozione agevole in un torneo ostico e di ottimo livello
La promozione in Serie A, data per scontata in principio di stagione, fu ottenuta agevolmente, in un torneo che a quei tempi poteva vantare la presenza di calciatori prestigiosi anche nelle società rivali concorrenti, come Hagi(che aveva già vinto una Coppa dei Campioni con la Steaua e indossato la maglia del Real Madrid) e Bierhoff.
Giocare ogni domenica contro avversari pronti a disputare la “partita della vita”, poi, non era certamente agevole, ma la Fiorentina tenne fede ai pronostici stilati dagli addetti ai lavori del mondo sportivo, gli stessi che oggi sono in grado di fornire servizi di intrattenimento come i gratta e vinci migliori , ed ottenne la promozione con cinque punti di vantaggio dalla seconda classificata (il Bari di Materazzi e del “Cobra” Tovalieri) e sette dalla quinta piazza (dove si issò il Cesena della coppia del gol “Hubner-Scarafoni”), in un torneo dove le vittorie valevano ancora due punti.
La prima stagione in Serie A: l’illusorio avvio trascinati da un Batistuta dominante
Ritrovata la massima serie, l’obiettivo della società gigliata, nonostante il ruolo di “neo-promossa”, era quello di non stazionare nella zona bassa della classifica, ma di ambire, se possibile, ad un piazzamento europeo. Impresa tutt’altro che semplice, nonostante gli arrivi di Marcio Santos (fresco “Campione del Mondo” col Brasile) e Rui Costa, talentuosissimo trequartista proveniente dal Benfica.
L’avvio del campionato, però, fece sognare i tifosi gigliati, che vedevano l’Europa non più come un miraggio ma, bensì, un’opportunità concreta. A rendere i sogni ancor più reali ci pensò Batistuta, grazie ad un avvio a dir poco strabordante: andando a segno nelle prime undici giornate di campionato, l’argentino riuscì a battere lo storico record di Pascutti, in un’epoca in cui la Serie A era la “creme” del calcio a livello internazionale.
Il rendimento nel girone di ritorno, però. non fu lo stesso dell’andata. La squadra iniziò ad offrire prestazioni meno brillanti, concludendo il campionato al decimo posto senza mai essere invischiata nella lotta per non retrocedere. Ranieri, quindi, fu confermato, nonostante alcuni tifosi, seppur la netta minoranza del pubblico viola, ne avesse chiesto l’allontanamento.
1995/96: terzo posto e vittoria della Coppa Italia, grazie ad un mercato oculato e un Bati immenso
Per rendere più solida la squadra, la dirigenza gigliata decise di acquistare due difensori rocciosi come Amoruso e Padalino, oltre ad aver dato geometria e sostanza al centrocampo con gli acquisti di Bigica, Piacentini e Schwarz. Nomi, ad eccezione dello svedese, non propriamente altisonanti, ma estremamente funzionali per il gioco di Ranieri. Un mercato, come si dice in questi casi, oculato e mirato. E i cui frutti furono immediatamente raccolti.
La stagione 1995/1996, infatti, resta, tutt’oggi, una delle migliori, in termini assoluti, della storia della Fiorentina. Trascinata da un immenso Batistuta (19 centri in campionato, 8 in Coppa Italia), la squadra di Ranieri giunse terza in campionato (a pari merito con la Lazio di Zeman) alle spalle delle sole Milan e Juventus, e riuscì a vincere la Coppa Italia interrompendo un digiuno di trofei di ben ventuno anni.
L’ultima annata di Ranieri: la Supercoppa e la notte in cui Bati zittì il Camp Nou
La Fiorentina, quindi, era tornata nuovamente protagonista assoluta del calcio italiano e ambiva a diventare competitiva anche per la vittoria dello Scudetto. Il salto di qualità a livello nazionale, però, non avvenne nella stagione seguente, dove i Viola, viceversa, riuscirono a tornare protagonisti in Europa: il gran gol di Batistuta al Camp Nou, però, non consentì agli uomini di Ranieri di andare oltre la semifinale di Coppa delle Coppe, vinta dal Barcellona di Ronaldo e Bobby Robson.
Fu quella l’ultima stagione di Claudio Ranieri sulla panchina gigliata, iniziata col successo in Supercoppa Italiana contro il Milan (prima volta che una squadra vincitrice della Coppa Italia aveva la meglio sulla compagine “Campione d’Italia”), restato alla storia anche per il famoso “Irina, te amo” dedicato da Batistuta alla moglie, e chiusa con uno scialbo nono posto in campionato, in un’annata dove Vicenza e Udinese fornirono prestazioni a dir poco sorprendenti.
Ranieri salutò l’Italia e, dopo pochi mesi da “disoccupato”, volò in Spagna, dove iniziò una carriera di alto profilo internazionale sedendosi su panchine assai prestigiose come Valencia, Atletico Madrid, Chelsea, Monaco e, soprattutto, Leicester. Alla guida delle Foxes, infatti, Claudio costruirà uno dei più grandi miracoli nella storia dello sport, riuscendo a vincere una Premier League alla guida di una squadra partita con l’ambizione di salvarsi all’ultima giornata.